Il corpo del carcerato in Le mie prigioni di Silvio Pellico

Abstract: (The Prisoner’s Body in Silvio Pellico’s Le mie prigioni) The prisoner’s body has religious and political meanings in Silvio Pellico’s autobiography Le mie prigioni, published as a result of the ten years he spent in the prisons of Milan and Venice and in the Austrian fortress of Spielberg. Torn by mosquitoes, tormented by starvation, extreme temperatures, darkness, misery or excessive humidity, confronted by various diseases, threatened by putrefaction (the gangrenous, severed leg of his liberal friend and fellow inmate Piero Maroncelli) and ever-looming death, the body of the prisoner alienated from society, a Romantic topos nurtured in the 19th century by the dramas of Victor Hugo, bears witness to the pains of harsh imprisonment. The present reflection emphasizes the physical and painful details of bodies and mentions their moral and persuasive function within patriotic discourse: “Esponi i tuoi giorni per la salvezza altrui, s’è d’uopo, e massimamente per la salvezza della tua patria.” (Pellico 1873, 38). The analysis focuses on the lexicon pertaining to corporality and on the lexical constellation of grief that leads to the depersonalization of the individual, deprivation of identity, loneliness, lack of any freedom of decision, the threat of despair and madness, and, on the other hand, the tenacity of the protagonist in preserving his humanity through faith and through trust in the solidarity and generosity of humankind.

KeywordsSilvio Pellico, Le mie prigioni, prison, human body, pain, Romanticism.

Riassunto: Il corpo del prigioniero assume significati religiosi e politici nell’autobiografia Le mie prigioni di Silvio Pellico, pubblicata in seguito ai dieci anni trascorsi dal fondatore del ‘Conciliatore’ nelle carceri di Milano e Venezia e nella fortezza austriaca di Spielberg. Lacerato dalle zanzare, tormentato dalla fame, dalle temperature estreme, dall’oscurità, dalla miseria o dall’eccessiva umidità, martoriato dalle malattie, minacciato dalla putrefazione (la gamba incancrenita, tagliata dell’amico liberale e compagno di cella Piero Maroncelli) e dalla morte sempre incombenti, il corpo del prigioniero alienato dalla società, topos romantico nutrito nel XIX secolo dai drammi di Victor Hugo, testimonia i dolori della dura reclusione. La presente riflessione mette in risalto i dettagli fisici e dolorosi dei corpi e accenna alla loro funzione morale e persuasiva nell’ambito del discorso patriottico: “Esponi i tuoi giorni per la salvezza altrui, s’è d’uopo, e massimamente per la salvezza della tua patria.” (Pellico 1873, 38). L’analisi si concentra sul lessico attinente alla corporalità e sulla costellazione lessicale del dolore che porta alla spersonalizzazione dell’individuo, alla privazione d’identità, alla solitudine, alla mancanza di qualsiasi libertà di decisione, alla minaccia della disperazione e della follia e, d’altro canto, alla tenacia del protagonista nel conservare la propria umanità attraverso la fede e attraverso la fiducia nella solidarietà e generosità del genere umano.

Parole-chiave: Silvio Pellico, Le mie prigioni, carcere, corpo, dolore, Romanticismo.

Sectiune
Lingua e letteratura italiana
Pagina
236
DOI
10.35923/QR.12.02.18